Karla

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In quella notte c’era un’aria densa e intrisa di umidità, come fosse sudore, e di rugiada inondava la mia pelle. Avevo la camicia, a fiorellini gialli su sfondo blu scuro e le maniche risvoltate – c’era un caldo insopportabile. Me ne stavo lì, in totale solitudine, nonché in compagnia di un’ennesima sigaretta – come se fosse l’ennesima puttana che mi facevo. Aspirai a pieni polmoni, per poi, dopo pochi istanti, sbuffare in faccia al pupazzo con il “testone dondolante” che poggiava sul cruscotto della mia auto, una Camaro del 1967. Ero lì, a contemplare le gocce di pioggia, che fluivano sul parabrezza. Oltre quelle lacrime sul vetro, una fantasia di luci al neon di varie forme rendeva mistica quell’immagine che si creò. Erano le insegne del Motel che stava dinanzi a me, un vecchio edificio a due piani – pian terreno e primo piano – con porte di color celeste che facevano da scudo circondando il lato visibile dell’edificio, di color bianco oramai consunto. Sul sedile di fianco a me, come se fosse una bella donna in mia compagnia e compagna d’amore, una bottiglia di buon Whiskey ascoltava i miei pensieri. La mia lucidità prese il cammino verso l’ignoto già da qualche tempo e continuai a sorseggiare quell’amore liquido, che tanto mi fece star bene e male, quanto l’amore di una donna reale. Ero depresso. La mia barba era come quella di un saggio, tant’è che era come se avesse vita propria e accarezzandola, mi desse consiglio come un amico fidato. Il mio sguardo incontrò quello dello specchietto retrovisore e per un istante mi vidi in faccia. Il mio viso teneva occhi plasmati dall’insonnia, contornati da un anello violaceo che per quanto surreale, mi faceva sembrare un Morto Vivente, come nei film dell’orrore.

Dopo che aveva smesso di piovere, spensi una sigaretta nel posacenere, quindi scesi dalla mia auto. Avevo preso una corposa boccata d’ossigeno, fresco, e mi ero incamminato verso la reception.
“Salve, come posso esserle utile.” Mi chiese, appena varcai la porta d’ingresso, la receptionist.
“Salve, vorrei una stanza.” Le dissi, formulando male alcune lettere.
“Una singola, o una doppia?”
“Direi che una singola possa bastare, a meno che, non consideriate la mia pancia – voluminosa. In quel caso sarebbe un problema.” Feci scherzando.
“Stia tranquillo signore, vada per la singola allora! Sono trenta dollari a notte.” Rispose, con un sorriso divertito, formatosi su quel suo grazioso viso.
“Tenga le chiavi, è la numero 36.”
“Grazie, signorina.” Presi le chiavi, ed uscii dalla porta, quindi andai verso la mia stanza, che si trovava al primo piano, raggiungibile tramite una rampa di scale esterne.

Entrai e chiusi la porta alle mie spalle. Mi stiracchiai la schiena a braccia aperte e mi buttai sul letto appena lì dinanzi a me. Ero troppo ubriaco, e non mi resi nemmeno conto che già mi addormentai in un sonno profondo e privo di sogni. Continuavo a dormire finché non sentii bussare alla porta, quindi con molta calma alzai le palpebre – con vista sfocata e ricoperta da una pellicola lacrimale che mi impediva la vista lucida.
“Chi è, a quest’ora?” Chiesi, probabilmente a bassa voce.
Bussarono ancora.
“Chi va là, chi sei?” Dopo essermi ripreso, alzai la voce.
Le nocche di quell’ignoto, colpirono ancora.
Mi alzai – mentre bussava – e aprii la porta.
“Chi…?” Mi bloccai, alla vista di una splendida donna, dai capelli rossi ed un vestitino che copriva il necessario.
“Mi chiamo Karla, e sono qui per farti divertire.” La sua voce, poteva eccitare anche il più asessuato fra gli umani. Una voce talmente sensuale, che mi rapì all’istante. La sua bellezza, poi, da confrontarsi solamente con una Dea.
“Posso entrare?” Mi chiese.
Non esitai un secondo, e la feci accomodare, quindi richiusi la porta dietro di lei, e girai la chiave.
Si sedette sul letto, e appoggiò la sua borsetta di color nero opaco a fianco a lei – incrociando quel che furono le gambe di una fata.
“Desideri qualcosa da bere, fanciulla?” Le chiesi flirtando umoristicamente.
“Sì, grazie.” Si tolse la giacchetta in jeans, e si distese leggermente, portando il peso sui gomiti.
Preparai due bicchieri – trovati lì – del Whiskey che avevo bevuto prima in macchina. Le diedi il suo, e brindammo. Siamo andati avanti di bicchieri e chiacchiere, e poi, quando fui bello che sbronzo, iniziammo a sfiorarci le labbra. Le sue, come seta, morbide e carnose, il loro tocco era delicato e al tempo stesso sofisticato. Era una Dea anche a baciare – non che io sapessi come bacia una Divinità – me lo sentivo però, era intenso come nemmeno la mia vita, e mi fece sentire sciolto e leggero. Preso dalla passione, pian piano, mi sbottonai la camicia e lei fece lo stesso, sfilandosi il vestitino, poi mi tolsi le scarpe e i pantaloni. Ben presto ci ritrovammo in unioni folli, intrisi di calore, di sudore e respiri ansimanti di orgasmi in afflusso. Brividi di piacere trapassarono il mio corpo, ponendo fine al tutto e mi staccai, sfinito. La guardai e accesi una sigaretta. Non mi era mai capitato, di sentire emozioni così forti con una prostituta – tant’è che iniziavo a chiedermi se lo fosse per davvero. Lei non era di molte parole, era particolarmente silenziosa e quindi presto mi addormentai – dopo che avevo finito di fumare.

Svegliato dai raggi del mattino sul viso, mi sgranai gli occhi – voltandomi verso la parte del materasso in cui giaceva Karla – ma lei svanita. Mi feci qualche domanda, ma non ci feci poi tanto caso, “se ne sarà andata” mi dissi, e mi recai in bagno. Un gabinetto ed un lavandino con specchio, in un paio di metri quadri. Feci scorrere l’acqua, tingendo le mani sotto il flusso, e mi sciacquai il viso. Mi guardai negli occhi, e mi asciugai con sguardo vuoto – ancora stordito per la sbornia. Presi i vestiti, li indossai e uscii dalla stanza.
Riportai la chiave a quella gentile receptionist.
“E’ stato un piacere…”
“Lucy, mi chiami Lucy, signore.”
“…Lucy, alla prossima! Le feci l’occhiolino, e me ne andai.
Presi l’automobile e partii sull’asfalto, verso la campagna – inserendo una cassetta di musica Jazz nell’autoradio. Dal finestrino abbassato, nuvole di fumo si disperdevano nell’aria, in follie turbinanti, ed un paesaggio di verde e azzurro, sfumato dal sole liquefatto – inondò la mia vista. Campi di grano e di mais circondavano quel che era una strada solitaria, che strisciava nella solitudine e nel dimenticatoio di un “mondo” che sembrava surreale e insolitamente tranquillo.
Viaggiai per lunghe ore, e osservai uccelli fendere l’aria e accarezzare le nuvole, come piccoli draghi, ma senza fuoco – per quello ci fu il sole cuocente.

La luna si levò di nuovo mentre le ore passavano, ed io mi abbassai dalla parte del sedile del passeggero a prendere una bottiglia di Bourbon che nascosi sotto di esso. Mi rialzai – il tutto in pochi attimi – e lei era lì, Karla, lungo la strada, camminando su quei tacchi vertiginosi che portava ai piedi. Avendola superata, mi fermai e tornai indietro e abbassai il finestrino dalla parte del passeggero.
“Ehi, Karla giusto? Che ci fai qui sola, di notte?” Le chiesi, superando il rumore del motore con il tono della mia voce.
Ma lei non rispose.
“Ehi, mi senti? Sto parlando con te, signorina che cammina lungo la strada.”
Ma lei nulla.
Allora spensi il motore, presi una sigaretta e uscii dall’auto. Mi incamminai, dando vita alla sigaretta che tenni in bocca, verso di lei che stette pochi metri più avanti.
“Ehi, Karla…ti ricordi di me? Non puoi non ricordarti di me.”
Dopo che lei non rispose, la presi delicatamente per la spalla e la girai verso di me.
I suoi occhi, ora che fui più sobrio, parvero vuoti, senza uno sguardo preciso – il che mi incuriosì.
“Mi chiamo Karla, e sono qui per farti divertire.” Disse, con la stessa voce della notte scorsa – che non potei dimenticare.
“Come? Stai vagando qui, sola, nel buio della notte, lungo una strada dimenticata dal mondo…e vuoi farmi divertire?” Fui perplesso.
Lei non rispose, ma pochi istanti dopo.
“Mi chiamo Karla, e sono qui per farti divertire. Mi chiamo Karla, e sono…i per…rti div…er…tire.” La sua voce, divenne grottesca, e cambiò d’intonazione come un vinile bloccato lentamente.
Poi ci fu un momento di silenzio riflessivo, e non capivo, era assurdo.
Non feci in tempo a realizzare che, fui assalito da una luce accecante, come un raggio luminescente, che provenne dall’alto. La mia pelle iniziò a bruciare di dolore, non capivo il perché, e gli occhi come se volessero implodere.
“Cosa sta succedendo?” Il panico mi prese fra le sue braccia.
La camicia, i pantaloni ed il resto di cui ero vestito, iniziò a colorarsi di filamenti infuocati, come cenere ardente cullata dal vento. La mia pelle iniziò a bollire, gli occhi oramai non videvano che nero
e poi – più nulla.

Brandelli di carne svanirono nell’ignoto, insieme al raggio. Karla, immobile, lungo la strada, e la Camaro con la portiera ancora aperta rimase lì – circondata da grano e mais.

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