Sfiorando l’acqua.

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Zdzisław Beksiński


Sfiorando l’acqua.

Non temo più nulla, come quando il silenzio cresce intorno, senza dare spiegazioni, senza nulla da osservare, ascoltare. Ricordo il frammento di tempo in cui vidi i suoi occhi la prima volta, lì dentro, tra le diramazioni delle sue iridi, mi feci spazio spinto qua e là dalle pupille mentre mettevano a fuoco il mio amore. Lì dentro annegai senza alcun timore. Come dolce musica e le sue piccole note nude, che correvano con le braccia all’aria urlando qualcosa, per poi scomparire nella mia testa come tutto il resto. Rimango ancora seduto a sbirciare fuori dalle palpebre, e le mie mani, quelle che stringono con forza la mia passione senza rilasciare il lupo, non le sento più. Posso toccare l’ossigeno immaginando pelle. Posso ricordare immaginando ossigeno come liquido che scorre. Posso dare forma a tutto questo senza asciugarmi la barba né fiatare ancora. È una poesia che non sta in mano a poeti né fa parte di alcun raggio di luna. La sua è una breve vita, come quella di una libellula che si posa sulla spalla per sussurrarmi del domani che non vedrà, per mettermi in allerta. Come l’ultimo grumo di cenere che cade e sporca le mie scarpe lungo il tragitto, io esplodo in stelle sognando di sognare ancora una volta il tempo e il suo corpo. Ed anziani scogli dell’infranto succo di nudità e sesso psichico, sorseggiando veleno e fumando salme dal mio aspetto, si frantumano. O grande niente lì nell’angolo che mi guardi danzare senza movimenti né denti da mostrare, io vivo, perché il mio ricordo sopravviva. Io vivo, per non dare spiegazioni. Io vivo, come ogni brandello di jazz.

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